Scatole di Scatole

SCATOLE DI SCATOLE

Cari quelli che avevano l’abitudine di leggere questo blog,

avete visto cosa è successo?

Due battiti di ciglia e sono passati otto anni.

Ero seduta sul divano di mio papà e mi chiedevo se sarebbe stata una bella idea lasciare il mio lavoro a scuola e trasferirmi in montagna.

E poi il ghiaccio, la neve, gli idraulici, gli ospiti, i colleghi, altra neve, la fresa, storie e risate … due battiti di ciglia. Otto anni.

E poi ero seduta sul divano di mio papà e mi chiedevo se sarebbe stata una bella idea lasciare il mio breve stato di disoccupazione per ritrasferirmi in montagna.

E questo è il battito di ciglia che non vi ho raccontato. Un anno.

Un lavoro nuovo (perché non sono un tipo da disoccupazione, dai!), paesaggi nuovi, persone nuove.

E una casa nuova.

O una non casa.

Adesso ci sono Stanze che ho amato e abitudini che vorrei indietro, tutto stipato in quarantasei scatole, e quasi altrettante borse da trasloco.

Solo un po’ di cose in precario equilibrio in uno spazio mio per poco, in prospettive senza testa.

Il resto in attesa che qualcuno le riprenda in mano e le porti in un altrove ancora da ritagliare.

E scatole.

Di libri, di pentole, di biancheria, di abiti della stagione sbagliata, di orpelli che erano belli solo per la loro collocazione.

Scatole di qualunque cosa.

E scatole di tante scatole.

Quelle di cui avrò bisogno per riporre le infinite “ultime cose”, e quelle che ho pensato che sarebbero servite, e che invece restano vuote a causa di tutto quello che ho buttato.

I traslochi di casa fanno quello: lasci indietro tante cose, le butti e ti restano tante scatole.

I traslochi emotivi invece fanno altro: cerchi di non guardare indietro e ti butti, e ti restano scatole di scatole.

Lascia un commento