Bella fatica

Qualcuno, che fortuna, vive in un albergo.

Due camerette piccine proprio sotto il tetto.

Due finestre grandi che guardano le cime, e i prati, e il cortile, e la gente che arriva e la gente che parte.

Qualcuno dalla finestra vede e pensa.

Guardavo dalla finestra la pioggia cadere fitta fitta. Pioveva e pioveva, e il telone del gazebo in cortile raccoglieva ampie sacche d’acqua tra le falde mal tese.

Lo avevo già visto: il vento impetuoso dei giorni scorsi ha strappato alcuni occhielli di ancoraggio e il telone non è ben fissato, e svolazza e si gonfia e minaccia di volarsene altrove.

Non si può lasciare così.

Se non si sistema, di qui a poco sarà così carico d’acqua da strapparsi. Bisogna porre rimedio.

Scendo a vedere se mi viene un’idea.

Anzi no.

La mia porta fa i capricci da qualche giorno. Entri, la chiudi, giri la chiave …. Ed è fatta. Dopodiché la chiave gira a vuoto e per uscire bisogna ricorrere alla chiave della seconda uscita, che però al momento è in uso tacitamente esclusivo al mio vicino di camera.

Morale della favola: sono fortunati quelli che vivono in albergo, purchè possano anche uscirne, volendo.

Chiamo la mia collega, le lancio le chiavi dalla finestra e, altra fortuna, la balenghissima idea che la serratura dal di fuori funzioni si rivela azzeccata. Voilà, riguadagno la libertà e intanto penso che se non me ne fossi accorta adesso sarei rimasta chiusa in camera fino a domani a mezzogiorno, perché nel frattempo il ripetitore TIM per l’ennesima volta non funziona, e quindi a parte i segnali di fumo non avrei saputo come comunicare la mia prigionia.

Fa niente. Non a tutto si può dar peso.

Scendo per cercare un rimedio alle sacche di acqua del telo del gazebo, intanto che sembra aver smesso di diluviare..

Sono lì che rifletto ….

La signora Fedora ha una bici nuova. Elettrica come quelle dei giovani di adesso.

Scende tutta impettita verso la strada principale. Le manca solo la sciarpina di seta svolazzante.
visione anacronistica.
Oppure è anacronistica la Fedora, rispetto alla bici.

Non a tutto si può dar peso. Torno a badare all’acqua, alle pance, al telone, e penso a come farebbero quelli che sanno fare. Io mi devo accontentare di soluzioni fantasiose e della speranza che a tanta fantasia corrisponda altrettanta efficacia.

“Dai, Marta, dai che ci siamo quasi!”

due ciclisti faticano e sudano e sbuffano mentre piano piano, pedalata dopo pedalata risalgono la strada ripida che passa davanti all’albergo e arriva in paese, a Penia.

“Dai Marta!”

e lei, faccia stravolta, segue la voce di lui, e paonazza spinge sui pedali, e arranca, e guadagna strada una pedalata per volta.   

Frrrrrrrrrrrrrrr frrrrrrrrrrrrr

La bici della Fedora non fa tanto rumore, e non ne fa neanche la provetta ciclista.

Questi arrancano, e lei rigida e impettita allarga un po’ la traiettoria e li sorpassa senza manco un sospiro.

“Dai, Mar …. rta ….”

Io ho visto che la Fedora ha lanciato ai due un’occhiatina tronfia senza girare la testa. È bastata la coda dell’occhio. E poi è andata dritta a casa, immagino, a gloriarsi che sulla salita ha sorpassato con la sua bici due ciclisti giovani e atletici.

Giovani, atletici, senza fiato e senza parole. Un sorriso largo mentre scuotono la testa all’indirizzo della Fedora, ciclista provetta.

Ho riso anche io, ma senza distrarmi dall’ingegnosa soluzione: una graffetta, una stecca di legno piuttosto larga, qualche metro di spago, e le pance d’acqua sono scongiurate.

Fosse sempre così facile dimenticarsi delle pance ……

Bastasse sempre una bici elettrica a risollevare l’autostima …..

che pensieri …..

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