Qualcuno diceva che se una cosa “te la fè in te n’altro modo, éla la vièn difarènte.”
La quarantena sollecita modi diversi, e diversa organizzazione, è ovvio.
Non mi riferisco alle macroquestioni dell’uscire o non uscire, dell’incontrarsi o non incontrarsi, dell’andare in giro o non andare neanche fuori dalla porta.
Dico che diventa diverso anche lo stare in casa, perché si fa fatica a condurre una vita diversa tenendosi ancorati alle abitudini consuete.
Io di solito non riesco neanche ad addormentarmi, se la casa è in disordine. Non vado neanche a letto, se nel secchiaio ci sono i piatti da lavare.
Di solito.
Da qualche settimana invece la routine è cambiata: la mattina si lavora e si lavoricchia. Si sistemano gli armadi, i cassetti, le ante di qualunque cosa, comprese le scatole, i contenitori e qualunque altra cosa abbia un aspetto riordinabile.
E dopo?
Dopo è facile: dall’ora di pranzo in avanti si creano i lavoretti per il giorno dopo.
Si fa il budino, per esempio.
Così si sporca un pentolino, e si adoperano tanti stampini monoporzione che poi finiranno nel secchiaio uno per volta, e ci resteranno perfino fino al giorno dopo.
(Certo che ho una lavastoviglie, ma checcéntra?)
Poi si può anche preparare l’estratto di frutta, così si fa un secchiello di bucce e affini, che domani si potrà portare perfino fino al bidone dell’umido.
E poi, volendo, si possono preparare i sughi per la pasta, oppure si impastano dolci, ….
E via di questo passo fino a quando, esauriti gli armadi da sistemare, ci si accorge che produrre cibo è l’unico modo per avere un lavoretto per domani.
Cosa sbaglio? Tra un po’ mi trasformerò in un bignè.
Rotondo, morbido, anche simpatico, magari, ma pur sempre un bignè.
Secondo me le case di moda dovrebbero impegnarsi in collezioni post quarantena. Sarebbe un’idea geniale.