Lo so che è incredibile, ma davvero non c’è bisogno di inventarle.
Capitano.
Capitano, e a te non resta che di guardare, e poi scrivere senza pensarci troppo.
Oggi si scrive di vacanze padre – figlia.
Effettivamente è un target in rialzo, quello fatto di un solo genitore, con un figlio adolescente o nemmeno ancora. Si dovrebbero studiare offerte apposta per loro, ma siccome il mercato latita, il target genitore-figlio si costruisce autonomamente le occasioni di cui ha bisogno. Commercialmente ovvio.
I primi che ho notato sono stati un padre giovane con una figlia di una decina d’anni che stava in perenne adorazione di questo padre per sua ammissione spesso assente dalla quotidianità della ragazzina. La moglie aveva prenotato per i due una vacanza di recupero, e loro la sfruttavano alla grande. La piccola gli raccontava un sacco di cose che immaginava lui non sapesse: dei suoi compagni di classe, dei suoi vestiti preferiti, di come voleva la festa di compleanno, del film che aveva visto dai nonni, e lui la ascoltava con apparente interesse estremo. Poi toccava a lui, e le proponeva tutte le attività che riteneva fossero giuste per lei, salvo non rendersi conto del fatto che se la proposta fosse arrivata da qualcun altro, lei non sarebbe mai salita sulla carrozza con quel cavallo che, mi ha confessato dopo, “puzzava come una capra, altroché cavallo!”. E forse più che andare a pattinare sul ghiaccio avrebbe preferito scivolare sul pendio davanti all’albergo seduta su un sacco della spazzatura.
Alla fine però se la sono goduta, e sono ripartiti tutti felici, con un gruzzoletto di cose da raccontare insieme alla mamma che li aveva spediti in missione di riavvicinamento.
Poi sono arrivati quegli altri due: padre sui quarantacinque, sciupato un bel po’, e figlio sui sedici-diciassette, ben incamminato sulla via di altrettanto sciupamento. Li vedi arrivare e ti pare di leggere anche i sottotitoli: “sono il padre più figo del mondo, ho una generosa riserva di robe da fumare, ed è molto meglio stare con me che con quella **** di tua madre”.
La faccio breve: dopo che sono partiti mi tocca lasciare invenduta la camera per un po’, mentre ci affanniamo a capire come togliere questa puzza “che altroché una capra”, che ha impregnato la camera e quanto contiene.
I sottotitoli erano ben chiari, e io ben in grado di leggerli, oimè. Anni di scuola e ragazzetti allegri hanno evidentemente insegnato parecchio al riguardo.
Finita qui? Macchè!
Altro padre, e altra figlia, questa volta neomaggiorenne.
Stranieri, arrivati con un volo, e poi un treno, e poi una macchina noleggiata (ma non chiediamoci perché non l’abbiano noleggiata direttamente in aeroporto).
Stanchi. Il sottotitolo diceva solo che erano stanchi, e loro, con un ZenchiuverimUccch di fronte all’offerta di un caffè, confermano che si sono svegliati molto prima dell’alba, e che quindici ore di viaggio li hanno proprio sfiancati.
Il bello viene il giorno dopo.
Escono all’alba “perché siamo sciatori appassionati”, e nell’uscire mi descrivono progetti di piste e impianti, e altre piste e altri impianti. Pare che scieranno a destra e a manca come se non ci fosse domani. O come se domani non ci dovessero essere più né piste né neve né impianti.
Via!
E diventano come quegli ospiti che gli albergatori adorano: “te par gnanca de vèrgheli!”, e infatti a sera, dopo l’orario della cena, non sono ancora tornati.
Cosa si fa in questi casi? Forse “niente” è la risposta giusta, ma avevano prenotato la cena, e ancora non si vedono. mi preoccupo?
No, preoccuparsi è troppo, ma facciamo i premurosi: telefono.
Dopo numerosissimi tentativi finalmente il padre risponde. Ma … è lui? Non capisco una parola, eppure stamattina ci si capiva perfettamente! Niente. Biascica come se avesse una patata bollente in bocca. E si sente musica a palla, e gente schiamazzante.
“Siamo a una festa”, mi pare di capire così. Poi, mettendo insieme una parola ogni dieci mi pare che dica “I do apologize”, della qual cosa non c’è affatto bisogno. E poi mi dice di non preoccuparmi per la cena.
Ottimo. Adesso, penso, facciano pure quel che gli pare: il mio compito è finito. Sono mica una chioccia per turisti mentalmente dispersi!
Sto per riagganciare, e biascicando e incespicando nelle parole della sua lingua madre mi chiede il codice del portoncino notturno, e poi precisa che non sa bene come fare a tornare, ma non sa neanche dove deve tornare, e nemmeno una volta eventualmente tornato saprebbe dove trovare la back door. Però il codice gli serve.
… sai cosa? Ti mando i codici, e anche il numero dei pompieri. Arrangiarsi.
Torna dopo un bel po’, ciucco completo. Quasi barcolla, un po’ sbava mentre parla, strizza gli occhi e tiene sempre quella patata virtuale in bocca. Entra, si siede senza rendersi conto di non essere più in piedi, e chiama la figlia.
Telefonata epica che suona più o meno così:
“Allora, Meggy, non so dove sia la porta, ma è attaccata al muro.
Tu trova il muro e vai sempre avanti verso destra. Ma se arrivi dall’altra parte allora vai verso sinistra.
E quando trovi una porta, digita il codice, ma solo se insieme alla porta trovi anche una tastiera, altrimenti bisogna che cerchi un’altra porta.”
Dall’altra parte la Meggy probabilmente biascica peggio del padre.
Ridono un po’, poi il padre chiude la conversazione.
Non so se sia convinto di essersi spiegato, o se invece abbia consapevolmente rinunciato, ma non pare in grado di preoccuparsi oltre.
Non lo fa lui, vuoi proprio che lo debba fare io?
Ci penso, mentre sto andando a dormire. Non dirmi che questo che sento è un piccolissimo e pur immotivato senso di colpa. No, eh?
Eppure questa volta più che i sottotitoli mi par di vedere i titoli, quindi non credo che dormirò tranquilla, e domattina farò un giro intorno all’albergo, che se devo trovarla ghiacciata preferisco non saperlo dai giornali!
“Ragazza trovata morta congelata nei pressi di un muro.” Il titolista non avrebbe mai saputo che i nostri muri hanno 38 porte e 3 tastiere, la cui sovrabbondanza avrebbe confuso una Meggy qualunque, figuriamoci una Meggy ubriaca, arrivata fortuitamente in albergo nel mezzo della notte.
…
ore 9:30
Meggy e padre scendono per la colazione. Nessuno dei due è morto, ma hanno un colorito verdognolo e un aspetto stazzonato e puzzolente.
Nelle storie di padri e figli per ora il filo conduttore sembra essere la puzza.
Non ti mancano le esperienze di questa variegata e un po’ assurda umanità 🤪
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… non ne vado un granché fiera, in effetti.
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