Ci vuole, ogni tanto, di staccare la spina.
Bisogna a volte quasi imporselo. Se stai a guardare tutto quel che resta da fare, quello che lasci indietro, e gli scrupoli e i chissà, allora non lo farai mai. Invece c’è da tener in seria considerazione il fatto che siamo esseri limitati, e che una pausa ogni quando ci vuole non ci fa certo più limitati di quanto già non siamo. Esattamente come non ci fa meno limitati la strenua ostinazione a restare in trincea ad oltranza.
Il mio amico Antonello (chissà se legge ….) me lo diceva, una volta “Così è abbastanza: l’epoca dei martiri è finita!”
E allora ieri ho messo insieme un paio di alibi, e sono andata a casa.
Prendere un paio di orpelli che sbadatamente avevo lasciato a Vicenza, passare in ufficio per quella faccenda che dovevo provare a risolvere, magari due chiacchiere dal vivo con un Amico.
Sì: sufficiente. Posso andare.
E tutti a dire subito che avrei trovato un caldo insopportabile, e che sarebbe stata un’avventura nella quale la stanchezza avrebbe sicuramente surclassato i benefici della spina staccata.
Fa niente.
Sono salita in macchina e ho guidato. Duecentocinquanta chilometri, in fondo cosa sono?.
Ho incontrato al primo tornante un camper di villeggianti di rientro. Lentissimi. Evidentemente poco inclini al rientro. Si comincia bene.
Piano piano piano sono scesa e ho imboccato l’autostrada. Ma questi camion dovevano assolutamente essere per strada tutti oggi? E di nuovo piano piano si scende, fino a dove ti aspetti la coda vera: intorno al Lago.
E infatti, eccoci: rallentamenti e traffico, con l’aggiunta di una specie di diluvio. Pioggia torrenziale, visibilità ridotta, stanchezza, forse anche un po’ sonno, la temperatura che cala a vista, forse ho anche un po’ fame, o mi basterebbe un caffè. Forse sì. Un caffè e basta, anche se il caffè non mi piace. Idee confuse.
Casello.
Dai, tre ore e un quarto più tardi, sono finalmente nel garage.
FFFFFFFFFFFIIIIIUHHHHH.
Prendo la piccolissima borsa che mi sono portata, e mi avvio.
Frugo nella borsa …. Checcaspita …. E le chiavi? Non mi dire …..
Frugo frugo frugo frugo e …. Ah, no! Le ho lasciate in macchina! Spero.
Torno indietro, e le vedo lì, sul pavimento del garage.
Saranno cadute adesso, anche se non le ho sentite cadere, o magari sono lì da quando sono partita, un mese fa esatto esatto?
Con le chiavi in mano e pensieri poco nitidi in testa, mi avvio al portone. Sono due passi.
Infilo la chiave … anzi no. Vorrei infilare la chiave.
Com’è sta storia che la mia chiave non apre più?
Vuoi mica che abbiano cambiato le serrature senza dirmelo? Caspita …. Magari dovevo avvertire che sarei rientrata ….. e magari invece adesso non c’è nessuno che possa aprirmi ….
Riproviamo, dai, che magari ho sbagliato chiave.
Ma no, niente da fare.
E adesso?
OCCHEFFORTUNA! Vedo arrivare il vicino di casa, che apre il portone senza problemi. Mi sorride: “le lascio aperto?” è sempre stato gentile!
Salgo dietro di lui … e penso che c’è qualcosa che non torna. Mi pare come di essere …. Vabbè, fa niente: sono davanti alla porta di casa, cerco tra le chiavi quella giusta, e … ma … c’è qualcuno in casa?
Sento delle voci … voci vere, dico, mica quelle “in testa”.
Che caspita … vabbè … rigiro un po’ le chiavi e improvvisamente … l’illuminazione!
Anna! Imbecille! Hai traslocato! Non è più qui che abiti!
Orca l’oca ….. certo che le chiavi non aprivano ….. mannaggia …..
E certo che il vicino aveva una faccia un po’ stranita …
Senza neanche rendermene conto, sto correndo giù dalle scale: spero che non mi abbia vista nessuno. Nessuno a parte il vicino gentile, che speriamo sia così gentile da tenere la bocca chiusa!
“Sai, ho visto la Signora Anna che cercava di entrare dal portone, poi si è intrufolata senza che potessi evitarlo, e poi …. Secondo me beve!”
Povera la mia provatissima reputazione!
In due minuti sono in casa, quella della quale ho le chiavi, nella quale stanno le mie cose, comprese quelle che sono venuta a prendere.
Ce la posso fare.
Aprire le finestre per arieggiare, accendere la caldaia per l’acqua calda, e il frigorifero per l’acqua fresca.
Ok. Adesso doccia, poi metto un vestito di quelli leggeri che non ho portato in montagna, e ….
E se non l’ho portato in montagna, perché qui non c’è?
Mammamia mammamia!
Allora: in montagna no, a casa di Vicenza no, in macchina no, nella casa vecchia sicuramente no. I miei vestiti dell’estate sono a casa di papà. A 50 chilometri da qui.
Mi viene da piangere.
Va bene. Non si piange per cose così stupide.
Mi aspettano per cena, allora metto a soqquadro l’armadio e reperisco abbigliamento sufficientemente leggero. Prebellico, ma leggero.
Così combinata almeno non avrò caldo. Facciamo che l’importante sia esattamente quello.
E via.
Pizza, chiacchiere, scoop, idee, pensieri, speranze, propositi ….
E poi a casa. Domani sarà giornata di tante piccole cose da fare, quindi adesso si dorme.
Guarda che lusso: la casa nuova ha anche l’aria condizionata. La posso accendere un po’, e poi la spengo prima di dormire.
E invece quando mi sveglio è già mattina. Il condizionatore è ancora acceso, e io sento un dolore terribile all’anca. Credo sia congelata, ma forse ho qualche speranza: se lo fosse davvero forse sarebbe anche insensibile.
Basta così.
Vestito prebellico, capelli asciugati senza fon, niente colazione perché la dispensa non lo consente.
Esco.
Non mi sembro neanche io, né di fuori né di dentro, però esco. Basta che io non lo racconti a nessuno, e forse non corro il rischio di essere internata.
Mentre chiudo il portone mi sorpassano due signori piuttosto anziani.
Uno dice che “Eh, oramai, per come siamo messi, adesso l’unica cosa che conta è l’integrazione”.
Senti, ciò, come cominciamo bene, la mattina!
“Eh, sì. Me lo ha detto anche il dottore: se sudi molto, prendi una bustina di qualche integratore, e starai meglio”
Ecco.
L’integrazione è facile: basta una bustina, e stiamo tutti meglio.
Devo ricordarmene, oggi.
Basta una bustina.