Sto seduta davanti alla finestra aspettando che arrivi l’ora dell’ennesimo colloquio.
Qui non se ne va fuori: vorrei ma non posso, potrei ma non voglio, sarebbe bello ma non conviene, è conveniente ma non opportuno, e poi ci sono le referenze, che sono come le recensioni: dicono sottintendendo, e non dicono pensando che si capisca.
Alla fine ti va in corto il buon senso: i colloqui sono una brutta cosa.
Allora sto seduta, respiro a fondo, e guardo fuori dalla finestra.
Un prato che non ha ancora ritrovato il verde, quattro mufloni che si rotolano sulla schiena come fanno gli animali qualunque, e poi per riacquisire nobiltà e fierezza si scambiano una scornata gratuita di tanto in tanto.
Fa freddo: stamattina erano meno sette. C’è ancora un po’ di neve sulla pista solo un po’ più spelacchiata di un mese fa, quando la gente pagava ancora un sacco di soldoni per scendere su striscioline bianche tra un ciuffo d’erba e un altro.
Fa freddo. Sarà quel venticello che vedo muovere le cime degli abeti, o sarà semplicemente che ancora non fa caldo, sta di fatto che fa freddo.
Viva Lapalisse.
Farà anche freddo, ma scommetto che se apro la finestra un po’ mi riprendo da questo torpore che la stanchezza comporta. Apro: mi serve.
L’aria fresca rimedia al torpore del corpo: la schiena si raddrizza, le palpebre si alleggeriscono, le spalle sembrano recuperare tono. Tutto un po’ meglio, eppure non mi alzo ancora. Sto qui, davanti alla finestra aperta, e guardo i quattro mufloni quasi senza vederli. L’aria fresca ritempra il corpo, ma per lo spirito ancora niente da fare.
Lo spirito intorpidito …. ma dai …. non mi pare neanche che si dica, ma invece è esattamente così: la stanchezza delle idee intorpidisce lo spirito.
Un omino scende lento il pendio di fronte alla finestra.
Mi pare che porti con sé una grossa borsa, e va dritto verso lo spiazzo al sole in cui i mufloni si scornano con foga via via crescente.
Glielo dico? Glielo strillo? Che stia attento a non entrare nella traiettoria di un corno, intendo, glielo dico? Non si farebbero mica tanti scrupoli, credo: tanto, quelli scornano per il gusto di scornare! Glielo dico?
L’omino che scende lento il pendio non ha bisogno di suggerimenti: sceglie una grossa pietra al sole, a distanza di sicurezza dalle corna, ci si accovaccia davanti e apre la sua borsa.
La pietra alle spalle gli fa da cassa di risonanza, e lo sento bene anche se è lontano: suona la fisarmonica! Prima strimpella un po’ a caso, e poi di colpo si lancia in quelle ballate tirolesi alle quali manca solo lo Yodler.
Fa quasi ridere. Anzi, diciamola con più garbo: mette di buon umore!
Ecco fatto: sole, brezza, mufloni e fisarmonica: un po’ per volta si ritempra anche lo spirito, e con un certo stupore sono pronta anche a scendere per il famoso colloquio. Speriamo bene!
Ci sono valli di lacrime e valli di fisarmoniche.
Questa, oggi, è un po’ entrambe.
“ma Prof, era una metafora!”
Post carinissimo!complimenti😁
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🙂
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